[Narrativo – asettico]
È Natale.
Sì perché il 25 dicembre di ogni anno si festeggia il Natale, anche se non è una data significativa, una ricorrenza certa come l’11 settembre che uno dice: “Ricordo un avvenimento occorso in quella data”.
No.
Il 25 dicembre è una convenzione.
E chissà perché, ma le convenzioni mi mettono il freddo addosso.
Ma è natale.
Ieri sera ho fatto, come ormai di consueto, il Babbo Natale telefonico per i figli di amici.
E i bambini si stupiscono, alcuni ridono, altri che magari sanno di averne combinate di ogni tipo, sono timidi e ritrosi.
E lo stronzo di Babbo Natale telefonico prosegue nella sua opera ricattatoria, in onore della festa.
Sei stato bravo? Avrai il dono.
Non sei stato bravo? Lo avrai lo stesso ma giocandoti dei crediti per il prossimo anno.
Un ricatto in pieno stile mafioso.
Il problema è intravvedere la mia immagine allo specchio con tutti i sistemi di camuffamento della voce e chiedersi: “Ma perché?”.
Perché sentirsi bene commettendo un inganno?
Perché garantirsi il futuro odio dei pargoli che oggi prendo per il culo?
È un non-sense.
In compenso scattano i ringraziamenti dei genitori ai quali ho minacciato la prole, che farciscono il tutto con la descrizione dettagliata e fotografica delle libagioni consumate la sera della vigilia.
Non vi annoierò.
Mi limito a dire: ogni ben di dio, che per un non credente diventa “ogni ben”.
Evvai, sorrisi, apprezzamenti, congratulazioni, auguri, per poi consumare una piccola braciola di maiale con quattro fette di polenta, fissando quella merda di orologio a pendolo al quale non cambio le batterie da dieci anni e che continua a mostrare le 04:30:40.
La vaginetta di oggi: