Nessun segno particolare.
Nessuna anomalia o segno distintivo.
Cioè, non è che lo vedi per strada e dici: “Guarda che roba!”
Solo altissime dosi di normalità.
Si aggira tra gli scaffali del supermarket ad un orario improponibile.
Con lo stesso interesse che può avere un procione in cattività.
A quell’ora, tutti i padri di famiglia (ma anche le madri) sono a casa a cucinare, mescolare, tritare, chiacchierare, vociare, litigare, commentare, insinuare e tutte quelle cose che si fanno in una famiglia sana.
Ma anche in quelle malsane.
Invece io e lui siamo al supermarket.
Non ricordo nemmeno più cosa devo acquistare.
Non è più importante della necessità che ho, di capire come sono.
E lo faccio osservando un mio simile.
Un normalissimo quarantenne senza famiglia che fa la spesa.
Voglio vedermi con gli occhi degli altri.
Voglio mettere il dito nella piaga e trovare eventuali differenze.
Differenze?
Io lo spero tanto. Ma proprio tanto.
Il passo, per esempio non è come il mio.
Io volo anche quando non serve.
Lui ha il passo lento e costante.
Cadenzato e mai esagerato nella lunghezza.
Condotto nel silenzio di comodissimi scarpini in pelle, con la suola puntinata e morbida.
Io ho delle scarpe da tennis comperate a Bangkok.
Non fanno male ai piedi ma con sei euro, non si può pretendere di avere la suola puntinata e morbida.
Si china, si alza, sposta, afferra, ripone, sposta e spinge, tutto con la stessa espressione.
Pallida e costante.
Non sembra afferrare altro che la sua consapevole rassegnazione.
Non certo barattoli.
A volte afferra e poi ripone, a favore di qualcos’altro, ma non con una evidente motivazione.
Forse sa che c’è anche l’opzione “scegli” e lui la esercita.
Io esclamo, approvo, schernisco, sbuffo e altre cose strane, quando faccio la spesa.
Io devo essere attore della mia vita, odiando che sia la mia vita a fare da regista al mio corpo.
Vaffanculo: quando sarà ora di morire, dovrò farlo io, non lei.
Egli trasla il suo corpo senza una meta e senza un perché.
Non è che succede del tipo “ohcazzo! Ho dimenticato i pelati! Dove sono i pelati! Mi scusi, dove posso trovare i pelati?”
No, non succede.
Io non ho ancora prelevato nulla dagli scaffali.
Ho scelto solo di guardare.
Ma poi decido che voglio completare l’esperimento, acquistando quello che sceglie lui.
Scieglie?
Quello che gli muore in mano, per dire.
Ha le mani bianche, pallide.
Io sembro un operaio.
E’ vestito di colori autunnali.
Bei vestiti, ma spenti.
Sembrano trattati per respingere la vita.
Spenti.
Impermeabili come liscia gomma.
Io sono vivo, cazzo.
Vesto col giubbino di jeans e con il corpetto antivento, perché viaggio in vespa.
Ci avviciniamo alla cassa.
Ripone i suoi acquisti sul nastro trasportatore.
Lentamente.
Ha la carta club.
Io no, per dio.
La cassiera fa la furba e passa allo scanner la sua pasta fresca per ben due volte.
Poi mi guarda e fa la faccia da triglia.
E io le triglie le odio.
Il single quarantenne, con due shoppers pieni, si allontana come solo un quarantenne fa.
Solo.
lavespista
momyone
andreaspa
serrenett
mezzastrega