Basandomi su criteri di osservazione empirica, di orientamento sociologico, posso affermare che il gatto costituisca un simbolo pseudofallico.
Sopra i quarant’anni di età, la femmina della specie umana, si appropria del gatto, sottraendolo alla sua vita da felino freelance, allo scopo di avere qualcosa di peloso da accarezzare.
Il gatto, animale notoriamente dedito all’arte di farsi i cazzi suoi, prende la palla al balzo, senza fiatare.
Quando è troppo tardi, realizza che la sua scelta è stata drammaticamente errata e cerca il suicidio con svariati sistemi, tipo limonare con un pitbull, riparare un bus in corsa o fare esercizi di volo con il deltaplano del vicino (che non ha mai avuto nessun deltaplano).
A quel punto inizia a dare di pazzo, prendendo atteggiamenti da donna mestruata gatto mestruato.
Anche se maschio.
Ecco che inizia a rompere il cazzo a tutti, finendo per essere adorato solo dal titolare di “divani&divani”, per motivi che non vi devo spiegare, diobono.
Se gli tocchi i baffi, gli si gonfia la coda.
Se lo accarezzi troppo, gli si gonfia la coda.
Se gli tocchi il naso gli si gonfia la coda.
Il fatto che le donne mi tocchino i baffi, mi accarezzino convulsamente e mi tocchino il naso, mi fa pensare che si aspettino che mi si gonfi la coda e questa è una cosa triste.
Posso quindi affermare tre cose:
1) le femmine quarantenni amano i gatti ;
2) i gatti non amano le quarantenni;
3) le femmine quarantenni dovrebbero dedicarsi alla coda, più che al gatto.
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